Ciao ragazzi,
per questa rubrica voglio raccontarvi come in una settimana qualunque di inizio Marzo abbia assistito, quasi come spettatore non pagante, allo stravolgimento delle mie abitudini, dei miei spazi, dei miei programmi quotidiani, della mia vita.
Mi chiederete come?
Bhe, la risposta è ovvia!
Tutto è cambiato quando i miei genitori a causa del Coronavirus hanno smesso “momentaneamente” (si spera) di andare a lavorare.
Quando io stesso, come voi, come tutti, non sono potuto più uscire di casa liberamente.
Ma soprattutto quando i miei fratelli sono tornati dai propri domicili laddove si erano trasferiti qualche tempo fa, più o meno remoto a dispetto dei casi, per proseguire i propri studi.
Insomma, sono tornati riaffollando casa. Quella casa che fino a qualche giorno prima era quasi esclusivamente “mia” e subito dopo il loro arrivo già non riconoscevo più.
Quella stanza laddove studiavo in solitudine, era tornata ad essere luogo di studio per tre persone e quindi troppo affollata.
Quei libri che riponevo solitamente su quello scaffale secondo una mia metodologia d’ordine non erano più lì, essendo sostituiti da altri che non erano i miei.
Persino quella stanza laddove di rado mi esercitavo con la mia chitarra, nella speranza di riuscire un giorno a suonare almeno una canzone correttamente, non sentivo più disponibile a ciò.
<Ma che sta succedendo?>
Semplice! Prima ero solo dove ora si è in cinque.
Prima potevo organizzarmi a mio piacimento dovendo al massimo “contendere” gli spazi casalinghi esclusivamente con i miei genitori, che pur già da prima del Coronavirus vedevo solo per metà giornata, vale a dire dal tardo pomeriggio quando rientravano dai propri rispettivi lavori.
Ora non più! Tutti in casa h24.
E allora? Che si fa?
Nulla! Si cerca di ristabilire degli equilibri tra di noi su quelli spazi divenuti comuni, e che prima erano solo miei. Nonchè, ristabilire quegli equilibri di qualche anno fa quando i miei fratelli erano ancora qui, quando ancora non si era studenti universitari e non vi era, per alcuno di noi, il bisogno di lasciare la propria casa per trasferirsi e studiare altrove.
Certo, è così che deve andare!
E’ questa la soluzione, se non fosse che nel frattempo siamo cresciuti e divenuti affezionati dei nostri spazi ed ossessionati dei nostri doveri.
E quindi tutti sentiamo di dover occupare quella “stanza studio” per proprio conto, perché gli interessi propri di ognuno di noi sono per qualche ragione superiori rispetto a quelli altrui, perché ognuno di noi non vorrebbe perdere del tempo in questo periodo.
Ecco qua! Il tempo.
Oggi scrivo volendo riflettere proprio sul tempo.
Il tempo è quello che nella vita di oggi, prima del Coronavirus, non bastava mai.
Quante volte ognuno di noi si è trovato a dire, ad ascoltare o semplicemente a pensare, in funzione di un determinato contesto, la classica frase: “Non c’è tempo!”.
Alle volte, un po' per piacere o anche per necessità, mi piace guardare il bicchiere mezzo pieno delle circostanze.
Ed è così quindi che penso che il coronavirus ci avrà tolto tante cose. Ci avrà tolto la libertà di uscire, di incontrarci, in molti casi persino la libertà di lavorare e guadagnare.
In cambio ci ha offerto però più tempo. Proprio quel tempo che prima non bastava mai.
E allora, che farsene del tempo?
Io personalmente considero l'operare del tempo un po' come l’istituto della “decadenza” di un diritto nelle discipline giuridiche.
In che senso?
Nel senso che il tempo c’è, appartiene a tutti, e tutti ne possono usufruire. Sta pertanto a noi decidere se avvalerci del tempo intraprendendo azioni che gli diano valore, o lasciarlo passare indefferenti, affinchè non ce ne sia più e non ci se ne possa più avvalere.
I modi per avvalorare il nostro tempo sono peraltro infiniti e alquanto soggettivi, e non ci sono regole definite ad hoc che ci possano dire come investire il nostro tempo.
Con più tempo finalmente puoi, ad esempio, leggere quel libro. Proprio quello là che sempre inizi a leggere ma arrivato a pagina 50 lasci perché nel frattempo devi ricominciare a studiare per il prossimo esame.
Oppure se la tua famiglia si è ricongiunta, come nel mio personalissimo caso, puoi “perdere” del tempo nel fare un gioco da tavola. Uno di quelli che, come altri, era rinchiuso in quell’armadio da troppi anni ormai.
O ancora, puoi pensare.
Ebbene sì! Seppur l’azione stessa di “abbandonare” qualche momento il mondo esterno per poter comunicare con noi stessi spesso viene sottovalutata, il pensare ci aiuta in tutto.
Pensare ci aiuta ad organizzare, a valutare, persino a costruire. Pensare ci aiuta a vivere!
Unica avvertenza è fare comunque attenzione al non perdersi, o addirittura rinchiudersi (come purtroppo spesso accade) in pensieri controproducenti o “cattivi” che ci possano nuocere.
Concludo porgendo i miei saluti e ringraziando lo staff di Beyond Borders, ed in particolare coloro che hanno lavorato a questa iniziativa “Viaggiatori in pantofole” perché con essa ho potuto riflettere ed esprimere “nero su bianco” alcune considerazioni, seppur ad uno stato embrionale, di questi infiniti giorni di quarantena e che fino ad ora, a mia stessa insaputa, risiedevano nella mia mente confuse e sparpagliate, pronte ad essere formulate.
Li ringrazio quindi, perché in tal modo mi hanno dato, anche oggi, un nuovo pretesto per potermi abbandonare al pensiero.
P.s. allego un'immagine di un aurora boreale norvegese con l'auspicio che si possa tornare presto a viaggiare e a vivere certe meraviglie della natura.
Ti è piaciuto questo racconto? Per leggere altre storie di "Viaggiatori in pantofole" clicca »QUI«
per questa rubrica voglio raccontarvi come in una settimana qualunque di inizio Marzo abbia assistito, quasi come spettatore non pagante, allo stravolgimento delle mie abitudini, dei miei spazi, dei miei programmi quotidiani, della mia vita.
Mi chiederete come?
Bhe, la risposta è ovvia!
Tutto è cambiato quando i miei genitori a causa del Coronavirus hanno smesso “momentaneamente” (si spera) di andare a lavorare.
Quando io stesso, come voi, come tutti, non sono potuto più uscire di casa liberamente.
Ma soprattutto quando i miei fratelli sono tornati dai propri domicili laddove si erano trasferiti qualche tempo fa, più o meno remoto a dispetto dei casi, per proseguire i propri studi.
Insomma, sono tornati riaffollando casa. Quella casa che fino a qualche giorno prima era quasi esclusivamente “mia” e subito dopo il loro arrivo già non riconoscevo più.
Quella stanza laddove studiavo in solitudine, era tornata ad essere luogo di studio per tre persone e quindi troppo affollata.
Quei libri che riponevo solitamente su quello scaffale secondo una mia metodologia d’ordine non erano più lì, essendo sostituiti da altri che non erano i miei.
Persino quella stanza laddove di rado mi esercitavo con la mia chitarra, nella speranza di riuscire un giorno a suonare almeno una canzone correttamente, non sentivo più disponibile a ciò.
<Ma che sta succedendo?>
Semplice! Prima ero solo dove ora si è in cinque.
Prima potevo organizzarmi a mio piacimento dovendo al massimo “contendere” gli spazi casalinghi esclusivamente con i miei genitori, che pur già da prima del Coronavirus vedevo solo per metà giornata, vale a dire dal tardo pomeriggio quando rientravano dai propri rispettivi lavori.
Ora non più! Tutti in casa h24.
E allora? Che si fa?
Nulla! Si cerca di ristabilire degli equilibri tra di noi su quelli spazi divenuti comuni, e che prima erano solo miei. Nonchè, ristabilire quegli equilibri di qualche anno fa quando i miei fratelli erano ancora qui, quando ancora non si era studenti universitari e non vi era, per alcuno di noi, il bisogno di lasciare la propria casa per trasferirsi e studiare altrove.
Certo, è così che deve andare!
E’ questa la soluzione, se non fosse che nel frattempo siamo cresciuti e divenuti affezionati dei nostri spazi ed ossessionati dei nostri doveri.
E quindi tutti sentiamo di dover occupare quella “stanza studio” per proprio conto, perché gli interessi propri di ognuno di noi sono per qualche ragione superiori rispetto a quelli altrui, perché ognuno di noi non vorrebbe perdere del tempo in questo periodo.
Ecco qua! Il tempo.
Oggi scrivo volendo riflettere proprio sul tempo.
Il tempo è quello che nella vita di oggi, prima del Coronavirus, non bastava mai.
Quante volte ognuno di noi si è trovato a dire, ad ascoltare o semplicemente a pensare, in funzione di un determinato contesto, la classica frase: “Non c’è tempo!”.
Alle volte, un po' per piacere o anche per necessità, mi piace guardare il bicchiere mezzo pieno delle circostanze.
Ed è così quindi che penso che il coronavirus ci avrà tolto tante cose. Ci avrà tolto la libertà di uscire, di incontrarci, in molti casi persino la libertà di lavorare e guadagnare.
In cambio ci ha offerto però più tempo. Proprio quel tempo che prima non bastava mai.
E allora, che farsene del tempo?
Io personalmente considero l'operare del tempo un po' come l’istituto della “decadenza” di un diritto nelle discipline giuridiche.
In che senso?
Nel senso che il tempo c’è, appartiene a tutti, e tutti ne possono usufruire. Sta pertanto a noi decidere se avvalerci del tempo intraprendendo azioni che gli diano valore, o lasciarlo passare indefferenti, affinchè non ce ne sia più e non ci se ne possa più avvalere.
I modi per avvalorare il nostro tempo sono peraltro infiniti e alquanto soggettivi, e non ci sono regole definite ad hoc che ci possano dire come investire il nostro tempo.
Con più tempo finalmente puoi, ad esempio, leggere quel libro. Proprio quello là che sempre inizi a leggere ma arrivato a pagina 50 lasci perché nel frattempo devi ricominciare a studiare per il prossimo esame.
Oppure se la tua famiglia si è ricongiunta, come nel mio personalissimo caso, puoi “perdere” del tempo nel fare un gioco da tavola. Uno di quelli che, come altri, era rinchiuso in quell’armadio da troppi anni ormai.
O ancora, puoi pensare.
Ebbene sì! Seppur l’azione stessa di “abbandonare” qualche momento il mondo esterno per poter comunicare con noi stessi spesso viene sottovalutata, il pensare ci aiuta in tutto.
Pensare ci aiuta ad organizzare, a valutare, persino a costruire. Pensare ci aiuta a vivere!
Unica avvertenza è fare comunque attenzione al non perdersi, o addirittura rinchiudersi (come purtroppo spesso accade) in pensieri controproducenti o “cattivi” che ci possano nuocere.
Concludo porgendo i miei saluti e ringraziando lo staff di Beyond Borders, ed in particolare coloro che hanno lavorato a questa iniziativa “Viaggiatori in pantofole” perché con essa ho potuto riflettere ed esprimere “nero su bianco” alcune considerazioni, seppur ad uno stato embrionale, di questi infiniti giorni di quarantena e che fino ad ora, a mia stessa insaputa, risiedevano nella mia mente confuse e sparpagliate, pronte ad essere formulate.
Li ringrazio quindi, perché in tal modo mi hanno dato, anche oggi, un nuovo pretesto per potermi abbandonare al pensiero.
P.s. allego un'immagine di un aurora boreale norvegese con l'auspicio che si possa tornare presto a viaggiare e a vivere certe meraviglie della natura.
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