Ho pensato a lungo a cosa raccontare esattamente di questo mio periodo di isolamento. L’incertezza derivava dal fatto che le mie emozioni sono troppo instabili, sempre sul punto di essere qualcos’altro tant’è che quel che pensavo ieri, non lo penso oggi.
All’inizio, come molti, credevo che tutto sarebbe passato in fretta e allora ipotizzavo una data di scadenza, come fai con le cose di cui hai buttato la confezione. Oltre quella, non avrei proprio potuto resistere.
La cosa, ovviamente, non mi ha aiutata affatto, soprattutto per via delle continue proroghe delle restrizioni. Si è cominciato a parlare di pandemia, e non alla Stanis La Rochelle perché il termine è più bello, più forte, ma proprio perché è tristemente più attuale. I giorni scorrevano tutti uguali e la cosa iniziava a non darmi più così tanta noia. Un film, alcune pagine di quel libro che non avevo mai tempo di leggere, qualche faccenda domestica in stile Mrs. Doubtfire, un nuovo dolce da sperimentare… Per un po’ di giorni ho goduto di questo ozio forzato.
Poi, però, è arrivato lo sconforto più nero, dovuto al fatto che molti di noi viaggiatori, ormai in pantofole, si spostino non sempre e solo per piacere, ma spesso per mera necessità lavorativa o di studio. Ora è tutto in standby, felicità e progettualità, aspirazioni e sogni. Dopo giorni (o settimane?) di lockdown cerebrale, ho pensato che dovevo resistere e che, dopotutto, non potevo fare altrimenti. Chi si sente privato della propria libertà non è da biasimare perché effettivamente di questo si tratta. Non ci sentiamo liberi di incontrare gli amici, di passeggiare, di andare al cinema, di fare cose cui prima non davamo alcuna importanza perché ne avevamo il controllo. L’ordinario, insomma, è diventato straordinario. Io credo, però, che la libertà non appartenga al singolo. Si tratta di un bene collettivo che va coralmente preservato. Se libertà significa agire senza ostacoli o impedimenti di sorta, allora il concetto di libertà va allargato e affiancato, oggi, a quello della sicurezza e della protezione non solo del singolo, ma della collettività. Possiamo essere liberi solo se lo siamo tutti, insieme, allo stesso modo e allo stesso tempo. Sappiamo bene come la libertà non possa mai essere assoluta, illimitata ma che, invece, debba fare i conti con le circostanze. Se vogliamo libertà dobbiamo essere in grado di costruircela, ma anche di mantenerla. Non posso far altro che progettare e sognare nuovi viaggi. Quello del periodo è per la Norvegia (sarà abbastanza lontana dalla mia stanza?). Voglio visitare il museo delle navi vichinghe di Oslo, ammirare l’aurora boreale di Tromsø e giocare con le foche barbute di Polaria, l’acquario più a nord del mondo (nella foto a inizio racconto).
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All’inizio, come molti, credevo che tutto sarebbe passato in fretta e allora ipotizzavo una data di scadenza, come fai con le cose di cui hai buttato la confezione. Oltre quella, non avrei proprio potuto resistere.
La cosa, ovviamente, non mi ha aiutata affatto, soprattutto per via delle continue proroghe delle restrizioni. Si è cominciato a parlare di pandemia, e non alla Stanis La Rochelle perché il termine è più bello, più forte, ma proprio perché è tristemente più attuale. I giorni scorrevano tutti uguali e la cosa iniziava a non darmi più così tanta noia. Un film, alcune pagine di quel libro che non avevo mai tempo di leggere, qualche faccenda domestica in stile Mrs. Doubtfire, un nuovo dolce da sperimentare… Per un po’ di giorni ho goduto di questo ozio forzato.
Poi, però, è arrivato lo sconforto più nero, dovuto al fatto che molti di noi viaggiatori, ormai in pantofole, si spostino non sempre e solo per piacere, ma spesso per mera necessità lavorativa o di studio. Ora è tutto in standby, felicità e progettualità, aspirazioni e sogni. Dopo giorni (o settimane?) di lockdown cerebrale, ho pensato che dovevo resistere e che, dopotutto, non potevo fare altrimenti. Chi si sente privato della propria libertà non è da biasimare perché effettivamente di questo si tratta. Non ci sentiamo liberi di incontrare gli amici, di passeggiare, di andare al cinema, di fare cose cui prima non davamo alcuna importanza perché ne avevamo il controllo. L’ordinario, insomma, è diventato straordinario. Io credo, però, che la libertà non appartenga al singolo. Si tratta di un bene collettivo che va coralmente preservato. Se libertà significa agire senza ostacoli o impedimenti di sorta, allora il concetto di libertà va allargato e affiancato, oggi, a quello della sicurezza e della protezione non solo del singolo, ma della collettività. Possiamo essere liberi solo se lo siamo tutti, insieme, allo stesso modo e allo stesso tempo. Sappiamo bene come la libertà non possa mai essere assoluta, illimitata ma che, invece, debba fare i conti con le circostanze. Se vogliamo libertà dobbiamo essere in grado di costruircela, ma anche di mantenerla. Non posso far altro che progettare e sognare nuovi viaggi. Quello del periodo è per la Norvegia (sarà abbastanza lontana dalla mia stanza?). Voglio visitare il museo delle navi vichinghe di Oslo, ammirare l’aurora boreale di Tromsø e giocare con le foche barbute di Polaria, l’acquario più a nord del mondo (nella foto a inizio racconto).
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