“..Saper leggere il libro del mondo con parole cangianti e nessuna scrittura, nei sentieri costretti in un palmo di mano, i segreti che fanno paura. Finché un uomo ti incontra e non si riconosce e ogni terra si accende e si arrende la pace”.
Cantava così Fabrizio De Andrè in Khorakhanè, nel 1996, e oggi non possono che tornarmi alla mente le sue parole. Una frase che credo possa rappresentare al meglio quello che è stato l’insegnamento di questo primo Erasmus Plus, per me.
Ci sono esperienze che viviamo e che inevitabilmente ci cambiano. Prima di realizzare quello che stai facendo, hai già una nuova scintilla dentro di te. L’esperienza a Van, in Turchia, è stato proprio questo. Un progetto a cui ho scelto di partecipare per ragioni che forse si sono chiarite solo una volta tornata a casa. Sicuramente, l’impulso iniziale è stato la volontà di scoprire un mondo completamente diverso dal nostro, che viene nascosto spesso dietro fumosi stereotipi. Come vincerli, come sradicare quei pregiudizi che sono inevitabilmente dentro di noi? Toccando con mano quello che non si conosce.
È venuta poi la curiosità di confrontarmi con ragazzi e ragazze da tutta Europa su un tema quanto mai attuale e complesso: l’introduzione e la crescita dei giovani nel mondo del lavoro, il modo in cui essi possano esprimere al meglio le proprie potenzialità.
Quando il 10 marzo ho fatto ritorno a casa non potevo ancora credere a tutto quello che i miei sensi avevano percepito in quella settimana carica di emozioni ed esperienze. La convivenza a stretto contatto con persone nuove, inaspettate; gli stretti legami affettivi che si sono creati; l’importanza delle lingue che passano dalla comprensione reciproca, unica via per un’Europa che cresce nel segno del rispetto dell’altro. E poi le idee e le riflessioni scaturite dai numerosi lavori di gruppo, nei quali il confronto con idee sconosciute e provenienti da nazioni diverse, non posso che aprire nuove finestre di dialogo.
A incorniciare le nostre giornate quel fantastico mondo che è la Turchia. Esplorare la città di Van, assorbire così tanta vita dalle sue strade, visitarne l’Università ci ha permesso di ‘essere dentro’. È così che lo immaginavo un Erasmus Plus, ma forse è stato molto di più; passa dalla conoscenza, dall’ascolto e dalla condivisione con l’altro la crescita dell’Europa e di ognuno di noi, abitanti ancor prima che cittadini.
Non posso che concludere con le parole di un altro magnetico cantautore, Niccolò Fabi, che mi hanno restituito il senso di questo viaggio e che solo ora riesco a capire: “Si parte per conoscere il mondo, si torna per conoscere se stessi. Il confine è così labile, le speranze si assomigliano. Non siamo che abitanti solamente”.
Cantava così Fabrizio De Andrè in Khorakhanè, nel 1996, e oggi non possono che tornarmi alla mente le sue parole. Una frase che credo possa rappresentare al meglio quello che è stato l’insegnamento di questo primo Erasmus Plus, per me.
Ci sono esperienze che viviamo e che inevitabilmente ci cambiano. Prima di realizzare quello che stai facendo, hai già una nuova scintilla dentro di te. L’esperienza a Van, in Turchia, è stato proprio questo. Un progetto a cui ho scelto di partecipare per ragioni che forse si sono chiarite solo una volta tornata a casa. Sicuramente, l’impulso iniziale è stato la volontà di scoprire un mondo completamente diverso dal nostro, che viene nascosto spesso dietro fumosi stereotipi. Come vincerli, come sradicare quei pregiudizi che sono inevitabilmente dentro di noi? Toccando con mano quello che non si conosce.
È venuta poi la curiosità di confrontarmi con ragazzi e ragazze da tutta Europa su un tema quanto mai attuale e complesso: l’introduzione e la crescita dei giovani nel mondo del lavoro, il modo in cui essi possano esprimere al meglio le proprie potenzialità.
Quando il 10 marzo ho fatto ritorno a casa non potevo ancora credere a tutto quello che i miei sensi avevano percepito in quella settimana carica di emozioni ed esperienze. La convivenza a stretto contatto con persone nuove, inaspettate; gli stretti legami affettivi che si sono creati; l’importanza delle lingue che passano dalla comprensione reciproca, unica via per un’Europa che cresce nel segno del rispetto dell’altro. E poi le idee e le riflessioni scaturite dai numerosi lavori di gruppo, nei quali il confronto con idee sconosciute e provenienti da nazioni diverse, non posso che aprire nuove finestre di dialogo.
A incorniciare le nostre giornate quel fantastico mondo che è la Turchia. Esplorare la città di Van, assorbire così tanta vita dalle sue strade, visitarne l’Università ci ha permesso di ‘essere dentro’. È così che lo immaginavo un Erasmus Plus, ma forse è stato molto di più; passa dalla conoscenza, dall’ascolto e dalla condivisione con l’altro la crescita dell’Europa e di ognuno di noi, abitanti ancor prima che cittadini.
Non posso che concludere con le parole di un altro magnetico cantautore, Niccolò Fabi, che mi hanno restituito il senso di questo viaggio e che solo ora riesco a capire: “Si parte per conoscere il mondo, si torna per conoscere se stessi. Il confine è così labile, le speranze si assomigliano. Non siamo che abitanti solamente”.