Viaggiatori in Pantofole - Il racconto di Renata

La mia quarantena forzata è iniziata il 22 marzo, era una domenica, era una giornata uggiosa, mi sono svegliata tardi perché avevo il turno di notte. Si, sono un'infermiera e lavoro in un reparto covid da fine febbraio, non ricordo il giorno preciso di quest'incubo, l'ho dimenticato.
Ogni giorno da quando questa pandemia è iniziata mi svegliavo con due amici, ansia e coraggio, avevo ansia perché era un qualcosa di cui non conoscevo nulla se non la sua immensa potenza a distruggere e coraggio perché in fondo per certe battaglie si viene scelti ed io evidentemente sono stata scelta e per combattere ci vuole coraggio, tanto.
Torniamo alla mia quarantena forzata, quel 22 marzo non lo scorderò mai più, sono stata a letto tantissimo avevo una stanchezza assurda e restavo a letto perché sapevo che avrei avuto un turno pesante, erano tutti pesanti i turni nei reparti covid, ma la notte era il turno che ti sfiniva perché erano 12 ore di duro lavoro no stop tra nuovi ricoveri che dovevi cercare di tranquillizzare e stabilizzare e i varii pazienti che peggioravano, era una corsa contro il tempo, dovevo essere più veloce del tempo.
Torniamo a me, il 22 marzo vado a lavoro con la tipica adrenalina di chi sta per fare un salto nel vuoto, arrivo, sorrido, inizio la vestizione per indossare il mio tutone da astronauta, ma avevo questa stanchezza assurda avevo una strana sensazione, ma ho pensato di essere diventata troppo pessimista. Esco dallo spogliatoio e c'era RAI 2 per un'intervista, ho pensato di fare io un'intervista, avrei voluto urlare di quanta ansia avevamo ma allo stesso tempo per la gente eravamo gli EROI allora sorrido al giornalista e indosso la mascherina, nessuno mai mi avrebbe riconosciuta vestita cosi ed entro, come la chiamavamo noi, in trincea.
Iniziamo il turno regolarmente avevo un gruppo di turnisti formidabili ci capivamo subito ed eravamo pronti ad aiutarci senza che l'altro chiedesse.
Alle 23 mi lamento di strani dolori e il mio collega, premurosamente mi porta il termometro, eccola lì la mia febbricola, tutto si faceva più chiaro, la mia sensazione non era poi cosi sbagliata.
Iniziò tutto l'iter, lascio il reparto, vado in pronto soccorso, tampone e spedita a casa in quarantena. Non dimenticherò mai la frase della dottoressa quando mi disse:"mi auguro di no, ma i sintomi sono quelli iniziali, da adesso è in isolamento domiciliare."
Panico. Io vivo sola, la mia famiglia è a 700 km da me, ho i miei amici si, ma loro non possono avvicinarsi a me, l'unica cosa che mi rincuora è che almeno non avevo sintomi respiratori.
Torno a casa, avverto la mia famiglia, la mia vicina, che è stata una seconda mamma, e i miei amici e iniziano così 45 interminabili lunghi giorni, nella mia casa chiusa dentro, senza vedere nessuno.
Il 26 marzo ricevo una chiamata, un numero strano, non era della mia città, non era quello il prefisso, rispondo, era il servizio igiene mi confermano la mia positività. Si, me la confermano perché dal 22 al 26 marzo io avevo già capito con chi avevo a che fare.
Ogni giorno, in modo crescente, si aggiungeva un sintomo, gli stesso sintomi che mi raccontavano i miei pazienti. Un giorno avevo la tosse, il giorno dopo mal di gola, fino ad avere affanno, una fame d'aria spaventosa, ricordo che aprivo le finestre e mi affacciavo come se volessi mangiarla, una paura indescrivibile che mi ha accompagnato fino al mio rientro al lavoro.
Ma fin qui, come si dice, barcollo ma non mollo, dovevo trovare qualcosa di positivo in tutta questa storia, allora passavo i giorni a leggere, a studiare, per quel che potevo inizialmente, forse due ore al giorno perché ero ko fisicamente. Passavo i giorni a parlare al telefono o in videochiamata con tutti gli amici che in quel momento non mi hanno lasciata, parlavo con i miei colleghi positivi e a casa come me e ho riscoperto il valore di una telefonata, come un come stai, un dai forza ce la faremo sia la cosa più semplice ma più forte al mondo.
La mia quarantena è stata, inizialmente, strana, si ero sola, parlavo tanto, mi facevo mille domande, ma mi sono resa conto dopo qualche giorno dalla mia positività che io tutta questa storia non l'avevo accettata. In fondo avevo perso, una battaglia certo, non la guerra, ma avevo comunque perso. Me ne resi conto annusando il mio profumo preferito perché annusandolo, spruzzandolo ovunque io non lo sentivo, ed ecco l'ennesimo sintomo che faceva spazio. Il covid mi ha tolto la semplicità di sentire i profumi, cosa che fino a poco tempo fa era cosi scontata, e invece per me non lo è più. Si, non lo è più, tempo presente, perché ad oggi dopo quasi 2 mesi non sento nulla. Bene, quel giorno, dopo credo 10 giorni circa, io ho realizzato di aver perso, ho pianto e ho dovuto fare i conti con l'ennesima paura, ho dovuto accettare il mio grandissimo ospite ed ho imparato a conviverci e soprattutto ad accettare ogni cambiamento che poteva portarmi. Ho imparato cosi ad essere forte, forte davvero.
In ogni giorno che passava durante la Mia quarantena, ero io a cambiare, io a capire. Ho capito che nella vita bisogna esser forti, accettare le paure e affrontarle e ho capito, soprattutto, che certe sfide non possono affrontarle tutti. Non esiste il "perché proprio a me?" esiste però di sicuro qualcuno che ti ritiene pronto per poter combattere perché sa che di sicuro ne uscirai. Ed è cosi che dopo tantissimi giorni a pensare, a crescere arriva il momento dove sei tu a vincere, a guarire e ad esser pronto a rientrare.
Ho ripreso a lavorare da poco, nel mio reparto, prettamente covid, con i miei colleghi con cui tutto è iniziato, per mettere in chiaro al mio amico virus che ho perso una battaglia, sono diventata IMMUNE, ma soprattutto sono forte perché, come cita una frase che è diventata la mia frase di vita, quando tutto ti sembra grande tu devi essere più grande di tutto, quindi ora è il momento di terminare questa guerra, per me, per i Miei colleghi che sono ancora a casa, per i miei pazienti guariti ma sopratutto per tutti quei pazienti che sono andati via da soli senza poter stringere la mano di un proprio caro.

 
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