In una conferenza del 2016, un filosofo a me molto caro di nome Francois Jullien parlava di un’Europa delle lingue, al plurale. Non può esistere un Europa di un’unica lingua, riconosciuta e parlata da tutti. È necessario tradursi reciprocamente, riconoscendo la pluralità e la diversità, per potersi sentire a pieno europei.
Ho pensato a questo aspetto della cultura europea durante l’ultimo pomeriggio a Veszprém, la città in cui ho frequentato il mio primo Erasmus+. Mi accompagnava l’ascolto di “Creuza de mä” di Fabrizio De Andrè, un manifesto della pluralità delle lingue e delle culture europee, in cui viene tratteggiato il ritorno di un gruppo di marinai a casa dopo un viaggio. Confesso di essermi davvero emozionato.
Nonostante italiani, turchi, polacchi, lituani, serbi, tedeschi, greci parlassero l’inglese per praticità, solo attraverso la propria lingua ci si conosceva davvero. Nel tono della voce, nell’inflessione, nel gesticolare si riuscivano a cogliere quelle piccole faglie che differenziano i patrimoni culturali dei vari stati dell’Europa. Tuttavia, quelle differenze scomparivano quasi miracolosamente nella condivisione di un’esperienza intima, familiare in cui ognuno, compreso me, è riuscito a superare blocchi emotivi e sociali che inevitabilmente, più o meno consapevolmente, porta con sé.
Il tema prescelto dagli organizzatori era legato a un uso consapevole dei social media. Abbiamo appreso invece che, nel mondo in cui viviamo, non solo sono fondamentali ma vanno usati con spirito critico. Analizzandone l’uso nei vari paesi di provenienza dei partecipanti, siamo riusciti a comprendere quanto sia necessaria una consapevole educazione, sin da una tenera età, all’uso di questi strumenti e quanto questi possano essere uno strumento importante per la propaganda e il dissenso politici.
Il tema più scottante è stato però quello delle fake news. La situazione è davvero grave. Tutti i paesi europei coinvolti in questo progetto hanno denunciato una diffusione capillare di questo fenomeno. Partendo da una definizione di fake news ci siamo poi divisi in quattro gruppi diversi il cui compito era arduo: produrre una fake news in relazione a un media differente. Abbiamo appreso direttamente quanto sia davvero labile il confine tra una notizia vera e una falsa e quanto spesso, per via di una fruizione dell’informazione sempre più veloce, sia importante più il “come” questa sia stata scritta o annunciata che il “cosa” viene narrato. Al di là delle differenze specifiche dei vari media, le fake news ci sono sempre e sono ancora più efficaci quanto più colpiscono i più giovani.
Esperienze di questo tipo sono inevitabilmente esperienze forti. Scuotono le certezze che si hanno e che sono frutto di una serie di tradizioni, di convenzioni e anche di stereotipi. Ci portano a vivere il nostro paese, la nostra identità nazionale proiettata in una realtà più grande. Questo non significa cancellare ciò che siamo, dimenticare la nostra storia ma riuscire ad apprezzarci come pezzi di un mosaico, vederci attraverso una lente più grande capace di cogliere un tutto più colorato. Guardare all’alterità attraverso la differenza. Saper apprezzare ciò è diverso non cercando di superarlo ma accogliendolo umanamente.
Ho pensato a questo aspetto della cultura europea durante l’ultimo pomeriggio a Veszprém, la città in cui ho frequentato il mio primo Erasmus+. Mi accompagnava l’ascolto di “Creuza de mä” di Fabrizio De Andrè, un manifesto della pluralità delle lingue e delle culture europee, in cui viene tratteggiato il ritorno di un gruppo di marinai a casa dopo un viaggio. Confesso di essermi davvero emozionato.
Nonostante italiani, turchi, polacchi, lituani, serbi, tedeschi, greci parlassero l’inglese per praticità, solo attraverso la propria lingua ci si conosceva davvero. Nel tono della voce, nell’inflessione, nel gesticolare si riuscivano a cogliere quelle piccole faglie che differenziano i patrimoni culturali dei vari stati dell’Europa. Tuttavia, quelle differenze scomparivano quasi miracolosamente nella condivisione di un’esperienza intima, familiare in cui ognuno, compreso me, è riuscito a superare blocchi emotivi e sociali che inevitabilmente, più o meno consapevolmente, porta con sé.
Il tema prescelto dagli organizzatori era legato a un uso consapevole dei social media. Abbiamo appreso invece che, nel mondo in cui viviamo, non solo sono fondamentali ma vanno usati con spirito critico. Analizzandone l’uso nei vari paesi di provenienza dei partecipanti, siamo riusciti a comprendere quanto sia necessaria una consapevole educazione, sin da una tenera età, all’uso di questi strumenti e quanto questi possano essere uno strumento importante per la propaganda e il dissenso politici.
Il tema più scottante è stato però quello delle fake news. La situazione è davvero grave. Tutti i paesi europei coinvolti in questo progetto hanno denunciato una diffusione capillare di questo fenomeno. Partendo da una definizione di fake news ci siamo poi divisi in quattro gruppi diversi il cui compito era arduo: produrre una fake news in relazione a un media differente. Abbiamo appreso direttamente quanto sia davvero labile il confine tra una notizia vera e una falsa e quanto spesso, per via di una fruizione dell’informazione sempre più veloce, sia importante più il “come” questa sia stata scritta o annunciata che il “cosa” viene narrato. Al di là delle differenze specifiche dei vari media, le fake news ci sono sempre e sono ancora più efficaci quanto più colpiscono i più giovani.
Esperienze di questo tipo sono inevitabilmente esperienze forti. Scuotono le certezze che si hanno e che sono frutto di una serie di tradizioni, di convenzioni e anche di stereotipi. Ci portano a vivere il nostro paese, la nostra identità nazionale proiettata in una realtà più grande. Questo non significa cancellare ciò che siamo, dimenticare la nostra storia ma riuscire ad apprezzarci come pezzi di un mosaico, vederci attraverso una lente più grande capace di cogliere un tutto più colorato. Guardare all’alterità attraverso la differenza. Saper apprezzare ciò è diverso non cercando di superarlo ma accogliendolo umanamente.